Il giovane Montale e la magia della poesia
Si aprano a caso gli Ossi di seppia di Eugenio Montale, nel centenario della pubblicazione della prima edizione presso l’editore Gobetti di Torino, e si ripeta tre volte tale operazione; si leggano e si rileggano accuratamente i tre testi così “emersi”: Quasi una fantasia, Il canneto rispunta i suoi cimelli, Casa sul mare: dal dialogo che i tre testi intrecceranno fra di loro, dai richiami e dai rimandi reciproci si sprigionerà come per incantesimo tutta la magia della (sua) poesia.
È il primo testo, Quasi una fantasia, a evocare “un giorno di incantesimo” e a definire il poeta un “incosciente mago” gravido “da gran tempo” di una “forza” misteriosa, quella della poesia. Costruita come una “fantasia” musicale, la lirica, che appartiene alla prima sezione della raccolta, si apre con un preludio che enuncia un “presentimento” legato a un silenzio anomalo (vv.7-9), condizione indispensabile per l’epifania di una realtà altra, da cui sgorga la poesia. Le tre strofe successive si proiettano in un futuro fuori del tempo: “il paese d’intatte nevi” è il correlativo oggettivo della sospensione del tempo necessaria alla creazione poetica, e il poeta nella sua “allegrezza solitaria” è quello che riesce a decifrarne l’ “essenziale alfabeto”, a condensare in un punto “tutto il passato” che gli compare dinanzi.
Riprendendo la forma del plazer provenzale quale l’avevano “plasmata” nei loro sonetti Dante (Guido, i’ vorrei…) e Cavalcanti (Biltà di donna…), Montale illustra qui il “processo” da cui sgorga la poesia, le “condizioni al contorno” del gesto poetico e la vitalità, la leggerezza, la letizia profonda che questo comporta, e di cui è emblema il “galletto di marzo”. Grazie alla potenza dell’ispirazione montaliana, tutto sotto la sua penna diventa emblema gravido di significato ulteriore: l’ “albore di frusto argento”, il “barlume” che “lista le finestre chiuse”, le “alte case”, gli “spogli viali”, tutto si carica di implicita attesa – attesa che diventa esplicita in Il canneto rispunta i suoi cimelli.
Il canneto rispunta i suoi cimelli è inserito nella sezione centrale, quella che dà il titolo all’intera raccolta, Ossi di seppia – emblemi di una poesia asciutta e scabra, a partire dal livello fonetico. Non ci si lasci ingannare dalla presenza “rassicurante” di tre quartine di endecasillabi a rima alternata: le rime accostano parole rare, dal suono poco familiare se non aspro, e nella seconda strofe la regolarità metrica viene smentita dal secondo verso, che è un settenario. Le prime due strofe delineano un paesaggio di mare privo di colore, segnato dall’arsura, dall’afa, dall’attesa di una “assente” di cui si avverte solo il presentimento, ma la cui lontananza determina il crollo, l’esaurimento di tutto, la perdita di riferimenti e di senso. Inevitabile identificare l’ “assente” con l’ispirazione poetica, la cui mancanza rende vuoto il cielo a cui invano canneto e orto protendono le loro “punte”. La direzione verticale è preclusa, la tensione metafisica “crolla come di cinigia”: il poeta è condannato a rimanere al di qua, a non oltrepassare “i chiusi ripari” – a differenza di quanto avveniva in Quasi una fantasia. Come nota Angiola Ferraris in Se il vento (Roma 1995), il “gioco presenza-assenza, ispirazione-perdita, percorre l’intero arco della poesia degli Ossi e ne costituisce […] la modulazione essenziale”, oltre a essere “la manifestazione della natura essenzialmente metaforica della poesia”, che “si dona e si sottrae nello stesso tempo”.
La lirica conclusiva di questo mio percorso montaliano, appartenente all’ultima sezione della raccolta, Casa sul mare, sembra essere la sintesi delle prime due e insieme il superamento degli Ossi di seppia, l’annuncio di un nuovo atteggiamento poetico, quello da cui nasceranno le Occasioni, La bufera e altro e, dopo una pausa di otto anni, le successive raccolte.
Il testo ha un ritmo diverso, più disteso e cullante, simile al “moto alterno” delle onde, e il mare-emblema ne è il protagonista fin dal titolo. Anche la struttura delle strofe è meno rigida, la loro lunghezza crescente sembra assecondare il fluire del discorso, scandito musicalmente dal ritornello tematico: “Il viaggio finisce qui / a questa spiaggia / a queste prode”. Tanti sono i temi che s’intrecciano in questi versi: oltre a quello della fine, del compimento del proprio destino, si impone quello del tempo come ripetersi di giorni, ore, minuti “eguali e fissi / come i giri di ruota della pompa” e per contrasto quello della fuga dal tempo, la ricerca di un “varco” verso l’infinito, l’eterno. Ma non si danno più visioni né rivelazioni: “in questa poca nebbia di memorie” “è raro che appaia / nella bonaccia muta / tra l’isole dell’aria migrabonde / la Corsica dorsuta o la Capraia”; il viaggio della poesia degli Ossi finisce nella stanchezza del poeta “che non sa più dare un grido”, in una speranza “avara”, in un passaggio di testimone che è additare una traccia “labile come nei sommossi campi / del mare spuma o ruga”…
Ma le Occasioni e le altre poesie, che Montale pubblicherà fino al 1980, dimostreranno che la magia della poesia si rinnova e dura nel tempo, se non oltre, se si àncora alla Storia e si fa “umanesimo militante”.
***
TESTI
Quasi una fantasia
Raggiorna, lo presento
da un albore di frusto
argento alle pareti:
lista un barlume le finestre chiuse.
Torna l’avvenimento
del sole e le diffuse
voci, i consueti strepiti non porta.
Perché? Penso ad un giorno d’incantesimo
e delle giostre d’ore troppo uguali
mi ripago. Traboccherà la forza
che mi turgeva, incosciente mago,
da grande tempo. Ora m’affaccerò,
subisserò alte case, spogli viali.
Avrò di contro un paese d’intatte nevi
ma lievi come viste in un arazzo.
Scivolerà dal cielo bioccoso un tardo raggio.
Gremite d’invisibile luce selve e colline
mi diranno l’elogio degl’ilari ritorni.
Lieto leggerò i neri
segni dei rami sul bianco
come un essenziale alfabeto.
Tutto il passato in un punto
dinanzi mi sarà comparso.
Non turberà suono alcuno
quest’allegrezza solitaria.
Filerà nell’aria
o scenderà s’un paletto
qualche galletto di marzo.
***
Il canneto rispunta i suoi cimelli
Il canneto rispunta i suoi cimelli
nella serenità che non si ragna:
l’orto assetato sporge irti ramelli
oltre i chiusi ripari, all’afa stagna.
Sale un’ora d’attesa in cielo, vacua,
dal mare che s’ingrigia.
Un albero di nuvole sull’acqua
cresce, poi crolla come di cinigia.
Assente, come manchi in questa plaga
che ti presente e senza te consuma:
sei lontana e però tutto divaga
dal suo solco, dirupa, spare in bruma.
***
Casa sul mare
Il viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l’anima che non sa più dare un grido.
Ora i minuti sono eguali e fissi
come i giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d’acqua che rimbomba.
Un altro, altr’acqua, a tratti un cigolio.
Il viaggio finisce a questa spiaggia
che tentano gli assidui e lenti flussi.
Nulla disvela se non pigri fumi
la marina che tramano di conche
i soffi leni: ed è raro che appaia
nella bonaccia muta
tra l’isole dell’aria migrabonde
la Corsica dorsuta o la Capraia.
Tu chiedi se così tutto vanisce
in questa poca nebbia di memorie;
se nell’ora che torpe o nel sospiro
del frangente si compie ogni destino.
Vorrei dirti che no, che ti s’appressa
l’ora che passerai di là dal tempo;
forse solo chi vuole s’infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
Penso che per i più non sia salvezza,
ma taluno sovverta ogni disegno,
passi il varco, qual volle si ritrovi.
Vorrei prima di cedere segnarti
codesta via di fuga
labile come nei sommossi campi
del mare spuma o ruga.
Ti dono anche l’avara mia speranza.
A’ nuovi giorni, stanco, non so crescerla:
l’offro in pegno al tuo fato, che ti scampi.
Il cammino finisce a queste prode
che rode la marea col moto alterno.
Il tuo cuore vicino che non m’ode
salpa già forse per l’eterno.

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