Mitico Caldara



MITO Settembre Musica, il festival che dal 2006 unisce Torino e Milano nel nome della musica, ha visto anche quest’anno la partecipazione dell’orchestra Academia Montis Regalis, diretta dal maestro Alessandro De Marchi, che si è esibita a Torino nella Chiesa di San Filippo sabato 15 settembre 2018 nel concerto Magnificat, insieme con il Coro Maghini diretto dal maestro Claudio Chiavazza, con il soprano Hanna Bayodi-Hirt, il controtenore Alessandro Giangrande, il tenore Massimo Lombardi e il basso Antonio Abete.

Il concerto, strutturato come un “Vespro della Beata Vergine” del primo Settecento, intervallava versetti di antifone gregoriane a salmi musicati dal compositore veneziano Antonio Caldara (1670-1736). Ne è risultata un’alternanza di momenti cameristici, momenti di gregoriano e interventi corali, all’insegna del contrasto fin dall’apertura: l’organo in registro flautato ha infatti introdotto il severo versetto gregoriano, per sole voci maschili, a cui è seguita una vera e propria “esplosione” corale e orchestrale, con un grandioso, straordinario intreccio di voci e un’impressionante varietà di forme e di “affetti”. Dai duetti ai terzetti agli asolo, dalla breve, intensa preghiera (Ave Maris Stella) al poema complesso e articolato (Laetatus sum), alla trionfale esultanza del Magnificat, l’ascoltatore è incalzato e irretito da una musica fulgida, sontuosa, affascinante per vitalità e potenza, capace di coniugare mirabilmente moduli bachiani e cantabilità italiana. 

Com’era abituale all’epoca, i musicisti si spostavano sia per apprendere (è il caso di Caldara a Roma), sia per insegnare a loro volta: Caldara, nato a Venezia ma vissuto a Mantova, Barcellona, Roma e morto a Vienna, sintetizzò nel proprio stile la tradizione veneziana madrigalistica e concertante di Monteverdi, il melodismo appassionato di Alessandro Scarlatti e della scuola napoletana, lo strumentismo dei bolognesi e di Corelli, influenzando Bach e Telemann e contribuendo a far maturare i presupposti del classicismo viennese. I frutti di tale somma di esperienze erano ben visibili nelle opere eseguite, di carattere sacro ma caratterizzate da una scrittura “operistica”, insieme chiara e distinta, solenne e grandiosa, che utilizza le voci umane (solisti e coro) come strumenti, in dialoghi serratissimi tra di loro e con l’orchestra; raffinatissimi gli intermezzi musicali di raccordo tra le parti cantate. Di prim’ordine l’interpretazione, fresca e danzante, in linea con il tema del festival: la danza appunto.

Un grande concerto, che rende il giusto onore a questo Bach italiano, molto ammirato dai contemporanei, ma oggi non conosciuto come meriterebbe.


(ottobre 2018)

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