“Tre fulgenti stelle”, per risentire la voce di Giuliana
Così l’amico Stefano Casarino ha introdotto, sabato 9 marzo scorso, la presentazione del libro postumo di Giuliana Bagnasco Tre fulgenti stelle (ed. Spigolatori 2024) – ed è ciò che voglio fare io scrivendo queste righe: parlare ancora con lei, ma soprattutto di lei e del suo rapporto con la poesia.
Giuliana aveva letteralmente “bisogno” di poesia, perché solo nella lingua della poesia trovava espressa la sua intensità, la sua visceralità di sentire e vi si riconosceva – a maggior ragione se le poesie erano scritte da donne perché, aveva scritto nel 1997, «l’autenticità del sentire pare essere requisito della poesia femminile». Per questo era una straordinaria, acutissima lettrice di poesia, perché per lei leggere voleva dire immergersi nel mondo della poetessa alla ricerca dell’autenticità, rivivere dall’interno i suoi versi, farli propri e riemergere in qualche modo cambiata, trasfigurata da questa esperienza di vita – e questo libro che ripubblica i suoi tre studi sulle poetesse Emily Dickinson, Katherine Mansfield, Alda Merini ne è la conferma.
Se è vero che quella della poesia è sempre una lingua straniera, allora studiare una poetessa per Giuliana significava impararne la lingua, imparare a parlare in quella lingua: questo è evidentissimo nel primo saggio, quello sulla Dickinson, in cui la prosa della lettrice è intessuta di espressioni e metafore “assorbite” dai versi della poetessa, in una sorta di identificazione, quasi di fusione tra le due. Credo che di qui derivi lo stile peculiare di Giuliana, il suo modo di costruire i testi – stile che il poeta Remigio Bertolino (sempre in occasione della presentazione del libro) ha giustamente definito “impressionistico”: la scrittura di Giuliana, così personale e “poetica”, procede per immagini, per illuminazioni improvvise, per intuizioni assolute che accostate una all’altra sulla pagina come le tessere di un mosaico – o le pennellate di un pointilliste – realizzano un quadro, un discorso sull’autrice che contemporaneamente getta luce anche sulla lettrice, di cui la poetessa è un “doppio”.
Nel secondo saggio, quello sulla Mansfield, l’accento batte sull’intensità della vita interiore, sulla passione per la scrittura e per la vita, senza la quale non si crea niente di duraturo. «L’autore deve sentire prima di pensare, deve pensare prima di esprimere se stesso», scriveva la Mansfield, e Giuliana riconosce che «si impara, grazie al suo verso, un alfabeto nuovo di sussurri, brividi, palpiti, emozioni dimenticate, e l’io si distende fino a percepire la sua consonanza con il cosmo». C’è tutta Giuliana in questa tensione romantica ad andare oltre le barriere del finito, nell’insofferenza per i limiti dell’io che anela all’infinito e aspira a sentirsi in armonia con l’universo.
Anche Alda Merini è «incontenibile nella sua foga vitale, come ogni vero poeta ha baciato la vita anche quando le sentiva un alito stantio, combattendo guerre estenuanti dentro e fuori di sé. […] Il vigore con cui si racconta è la trasposizione letteraria di quell’impulso passionale che l’ha animata spingendola a diventare, nell’ossessiva urgenza d’amore, un’avventuriera dell’anima. […] La sua parola poetica riporta al centro delle emozioni, è una parola umana e imprevedibile che passa dal vissuto al sognato». Come ha fatto notare Yvonne Fracassetti ancora il 9 marzo scorso, un'altra costante che Giuliana rintraccia nelle tre poetesse è la forza salvifica della scrittura, e questo valeva anche per lei, che scriveva “per cogliere la vita amplificando le emozioni”.
Giuliana viveva di emozioni, di passione: per la poesia, la natura, la scuola, la vita; viveva le sue avventure interiori nelle camminate in montagna, nelle letture e nella scrittura delle recensioni, negli incontri con gli amici, ognuno dei quali sentiva di occupare un posto speciale nella sua vita – e adesso rilegge queste Tre fulgenti stelle per risentire la voce di Giuliana.
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