Dal diario di un treeclimber




Sì, mi arrampico sugli alberi. Ma non per piacere, o per divertimento, o per sport. Per lavoro.

Quando sono arrivato qui, dieci anni fa, senza un soldo in tasca, ho fatto i mestieri più svariati, purché non bisognasse parlare: non capivo una parola della nuova lingua, e del resto anche al mio paese preferivo stare zitto. Ho raccolto pomodori, spinto carriole di sabbia, lavato piatti e cessi: l’importante era mettere insieme qualche soldo per mangiare e dormire, e intanto imparare la lingua. Almeno un po’. Quel tanto che basta per non farsi fregare, e per agganciare una donna.

Nel mio paese ero boscaiolo – ah, qui non ci sono boschi come i miei! Nel mio paese i boschi sono grandi, senza fine: sono foreste, foreste immense in cui si nasce, si abita, si lavora, si ama e si muore. Di foresta sono fatte le case, i tetti, le finestre, i tavoli, le sedie, i piatti, le posate, gli attrezzi, i letti, le culle, le bare. Di foresta è fatto il calore e il fresco, il riparo e le carezze, le corse e il riposo. Chi nasce nella foresta diventa amico degli alberi, li conosce e li ama come nessun altro. Ne ascolta le voci, ne distingue le figure, li abbraccia: riconosce l’età, il temperamento, e li sa prendere. Come fossero persone. Ma gli alberi, non vanno mai via.

Nel mio paese sono tutti boscaioli, ma non tutti sono come me: qualcuno in fondo ha paura degli alberi, ne considera solo l’utilità, non si fida di loro – né di nessun altro. Io no: gli alberi hanno aggiunto la dimensione verticale al mio mondo piatto, tutto orizzontale, mi hanno tenuto per mano quando imparavo a camminare per terra ai loro piedi, e poi mi hanno accolto tra di loro, mi hanno insegnato a salire lungo il loro tronco, sui loro rami, come faceva mio padre.

Non è difficile, ma non su tutti si può salire, non tutti accettano questa intimità con l’uomo – bisogna saperli prendere. In primo luogo bisogna riconoscere quali alberi sono scalabili e quali no: non è questione di altezza, ma di resistenza e di elasticità del legno, di conformazione delle chiome, di… pazienza. Poi bisogna avere le misure giuste, la giusta proporzione tra il corpo dell’uomo e quello dell’albero. Essere forti e insieme leggeri, avere slancio e colpo d’occhio, sensibilità e prudenza. E poi si sale. Come se si camminasse per terra: solo che il terreno questa volta è verticale, fatto di corteccia e di foglie. Come se si camminasse a quattro zampe: ma verso l’alto, non in avanti. Come se si risalisse l’albero dell’evoluzione e si ritornasse scimmie. Prensili come loro, flessuosi ed elastici. Come loro.

Salgo sugli alberi per lavoro, per potarli, ma per me è rinascere ogni volta, ritornare a casa. Gli alberi sono il mio paese, ovunque mi trovi. Gli alberi, non vanno mai via.

(settembre 2017)

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