Resistere...


 

da GILDO MILANO, Nebbia sulla Pedaggera, Ed. Magema, Carcare (SV) 2005

«Se mi chiedono perché ho scritto “Nebbia sulla Pedaggera” mi sarà facile rispondere.

Credo sia utile fare maggiormente conoscere il contributo dato alla Resistenza dalle nostre formazioni autonome delle Langhe. Credo sia giusto fare qualcosa affinché le madri dei nostri mille e più Caduti non continuino a chiedersi perché i loro figli sono morti.

Credo sia doveroso rivendicare almeno per i Caduti il tributo di un ricordo; ché noi vivi il fatto nostro lo abbiamo già avuto coi processi, le calunnie, le diffamazioni.

Libri sulla guerra partigiana ne sono usciti parecchi ma, salvo il volume di Mauri uscito vent’anni fa, nessuno ambientato in queste Langhe che della guerra partigiana hanno sopportato uno dei pesi maggiori.

Queste nostre formazioni “senza mamma”, nel dopoguerra sono state gratificate, quasi con spregio, degli appellativi più diversi: badogliane, monarchiche, agnostiche, e questo perché non riflettevano un colore politico di parte. Eppure, quando è scoccata l’ora della verità, c’eravamo anche noi, e in molti.

In verità durante quegli anni, gli avvenimenti ci tenevano così occupati da levarci di testa ogni desiderio di svolgere un proselitismo di idee che non fossero quelle della libertà senza aggettivi e senza colori. Tanto è vero che oggi ci sentiamo rimproverare il nostro eccessivo ‘attivismo’.

Molti di noi, come chi scrive, sono stati spogliati di tutto; hanno avuto gli studi e le carriere interrotte, poi si sono dispersi senza strepito e senza pretese.

È con molta amarezza che talvolta, leggendo con interesse e simpatia gli ottimi e spesso dotti e ponderosi lavori di scrittori giellisti e garibaldini, vedo sorvolare episodi che meriterebbero un po’ più di attenzione, oppure ammettere a denti stretti e con molte riserve fatti che non possono comunque essere taciuti. Eppure abbiamo dato tutto senza chiedere nulla.

Non vorrei chiamare in causa la storia: eppure sarà proprio la storia, che ha bisogno di lunghe stagioni per scrollarsi di dosso la polvere della cronaca e delle polemiche, a dare il suo giudizio.

Il presente libro vuol essere una piccola pietra di quell’edificio che la storia costruirà secondo le regole che non saremo noi e nessun altro a determinare, a suggerire.

È il diario, senza ombra di compromesso, della lezione che ho imparato dalla realtà, da sentimenti non condizionati da calcoli politici, dai miei capi, da Mario Bogliolo prima di tutti, esempio costante di lealtà e di coraggio, di cui mi piace ricordare le parole: “I partigiani non hanno altra disciplina se non quella che li prepara alla libertà.”

Non ho frugato nei fondi dei documenti, né sfogliato accolte di giornali; ho ritrovato quel ragazzo di vent’anni che ero a quei tempi, mi sono limitato a registrare il suo discorso nudo, un rapporto di fatti e impressioni, badando più alla sintassi della verità che non a quella dei linguisti.

È diventato un libro perché l’hanno confezionato così. Non servirà come testo per i comizi di rivendicazione, tanto più che oggi i comizi non hanno più fortuna.

Il viaggio e il destino delle parole nel mondo sono ormai cose molto vaghe e incerte; ma il rapporto dovevo farlo ugualmente, per dimostrare che in questa Italia a molti piani – dove quasi tutto, dalle promesse miracolistiche ai discorsi politici ambivalenti, alle stesse denunce di scandali, funziona da tranquillante – sono ancora possibili le contestazioni e la buona disubbidienza.

Se un lettore, uno solo, sfogliando i miei capitoli riuscirà a comprendere il nostro spirito di quei giorni e il prezzo allora versato per una libertà oggi tanto amara, considererò ripagata la mia fatica di resistente ieri, e di renitente a un’assurda situazione, oggi».

Gildo Milano (Genova, 2-5-1924 – Sale Langhe, 12-8-2010)

***

Ho ritrovato per caso, fra i libri di casa, Nebbia sulla Pedaggera di Gildo Milano, uscito nel 1967 e ristampato quindici anni fa dalla Magema Edizioni di Carcare. È un libro sulla Resistenza, scritto da chi vi ha attivamente partecipato e per questo è stato insignito della medaglia d’argento al Valor Militare con la seguente motivazione: “Giovane studente, combattente della lotta di liberazione, forniva ripetute prove di capacità e di valore assurgendo alla carica di comandante di brigata.

Alla testa dei suoi uomini si distingueva particolarmente mantenendo una posizione di ala nel corso di un duro combattimento. Sosteneva con bravura tre attacchi in forze, due volte contrattaccando con grande slancio. Completamente circondato, dopo lunga e sanguinosa lotta, riusciva ad aprire un varco e a riunirsi con i superstiti al grosso della sua divisione, dopo di avere, con eroica resistenza, pienamente assolto il compito ricevuto. Passo della Pedaggera (Cuneo) 11-16 novembre 1944″.

Non aveva ancora vent’anni l’autore, quando nell’autunno del 1943 si è associato alle bande “ribelli” della Prima Divisione Autonoma Langhe; ne aveva più di quaranta quando si è deciso a scrivere perché – chiarisce nella nota introduttiva –  «credo sia utile fare maggiormente conoscere il contributo dato alla Resistenza dalle nostre formazioni autonome delle Langhe. Credo sia giusto fare qualcosa affinché le madri dei nostri mille e più Caduti non continuino a chiedersi perché i loro figli sono morti. Credo sia doveroso rivendicare almeno per i Caduti il tributo di un ricordo; ché noi vivi il fatto nostro lo abbiamo già avuto coi processi, le calunnie, le diffamazioni». Eppure la narrazione sembra “in presa diretta”, tanto sono vivi e nitidi e presenti i ricordi – ma che l’autore abbia preso le distanze dal vissuto lo dimostrano il montaggio narrativo e l’elaborazione letteraria del testo, che lungi dal “falsificare” il racconto lo inverano, lo rendono più convincente e avvincente, ne accrescono ulteriormente il valore di testimonianza storica irrinunciabile.

Quello che viene qui narrato e rievocato, da un protagonista di primo piano, è il periodo che va dal maggio del 1944 al 25 aprile 1945, è la guerriglia partigiana contro fascisti e nazisti combattuta dalla Prima Divisione Autonoma, una delle tante formazioni partigiane, nell’Alta Langa, tra Sale Langhe, Montezemolo, Igliano, Marsaglia, Castellino Tanaro, Roccaciglié, Murazzano (fraz. Pedaggera). Non vengono solo raccontati gli episodi “militari”, ossia gli scontri con il nemico, le imboscate, i rastrellamenti, le fughe strategiche, ma anche la vita partigiana, i rapporti tra i componenti del gruppo e quelli con le altre bande, con i capi, con la popolazione civile. Il tutto con un andamento cronachistico, il più possibile distaccato e oggettivo, che ricorda i commentari di Cesare sulla guerra gallica e sulla guerra civile – ma sotto cui traspare da un lato il calore di una passione civile sempre viva e un amore struggente di quella terra, «dei suoi colori, delle sue nebbie, dei suoi paesaggi ora aspri, ora ridenti, ora malinconici» e di quella gente, «gente strana, stupenda e arida come la terra che l’ha nutrita» (p.28-29); dall’altro l’amarezza e la delusione per il fascismo che sempre rialza la testa, distorcendo la realtà storica e vanificando gli atti eroici della Resistenza.

Per questo nel titolo compare la parola “nebbia”, da intendersi in senso paesaggistico certo, ma anche in senso metaforico: perché l’autore è consapevole del rischio che sulla Resistenza cali la nebbia della deformazione e dell’oblio, e per opporsi a questo rischio ha dapprima scritto, e poi ripubblicato il suo prezioso libro di memorie.

L’altra parola che compare nel titolo, “pedaggera”, è il nome con cui viene ancora chiamata, localmente, la strada di crinale che unisce Dogliani a Montezemolo, teatro della guerra partigiana e oggi paradiso dei motociclisti (è un tratto della SP 661 delle Langhe, anche pagina FB).

Prima di scrivere questa recensione avrei voluto percorrere quella strada, cercare il cippo fotografato sulla copertina del libro, scattare fotografie ai luoghi, ma un’altra guerra me l’ha impedito, bloccandomi in casa: la guerra sanitaria mondiale contro il virus Covid-19. In questa guerra moderna, gli eroi non sono i “ribelli” ma i sanitari, medici e paramedici, novelli “partigiani” della salute, che con straordinaria forza d’animo e spirito d’abnegazione tutti i giorni sono accanto ai malati, rischiando la loro vita come i partigiani durante la seconda guerra mondiale – perché glielo impone il loro senso del dovere.

Oggi come allora, la meta sarà la Liberazione…

(aprile 2020)


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