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Visualizzazione dei post da marzo, 2023

Autore e lettore nel "De Rerum Natura" di Lucrezio

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foto di Bruna Bonino Riprendo volutamente il titolo di un mio precedente   lavoro su Ariosto , non solo perché nel   De rerum natura   di Lucrezio il lettore è chiamato continuamente in causa, ma anche perché, da quando all’università ho frequentato il corso di estetica del prof. Pareyson, ritengo che il ruolo del lettore sia fondamentale, sia assimilabile a quello del musicista che interpreta un brano musicale: una pagina scritta rimarrebbe muta, inutile, senza un lettore, come uno spartito senza un suonatore… E se oggi i lettori determinano il successo commerciale di un autore, nel caso degli autori antichi, latini e greci, i lettori ne hanno determinato la sopravvivenza  tout court . Prima dell’invenzione della stampa, infatti, i manoscritti venivano ricopiati a mano da chi voleva leggerli ed è stata la catena secolare delle trascrizioni a permettere che arrivassero fino a noi – cioè fino alle prime edizioni a stampa, nel XV sec., che garantendo la riproducibilità...

In viaggio lungo il Reno

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Un viaggio lungo il Reno, tra Francia e Germania, è l’occasione per toccare con mano la fondamentale importanza del trattato di Schengen e l’assurdità di riproporre confini interni oggi in Europa. Aveva visto giusto   Victor Hugo   quando nel   1849 , al Congresso della Pace di Parigi, aveva proclamato: «Verrà un giorno in cui anche a voi cadranno le armi di mano! Verrà un giorno in cui la guerra vi parrà altrettanto assurda e impossibile tra Parigi e Londra, tra Pietroburgo e Berlino, tra Vienna e Torino quanto sarebbe impossibile e vi sembrerebbe assurda oggi tra Rouen e Amiens, tra Boston e Filadelfia. Verrà un giorno in cui voi Francia, voi Russia, voi Italia, voi Inghilterra, voi Germania, voi tutte, nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distinte e la vostra gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in un’unità superiore e costituirete la fraternità europea, esattamente come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia, tutte...

De Chirico e il volto della metafisica a Genova

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Nel 2019 cade un centenario anche per de Chirico come per Leopardi, il centenario di quello che è stato chiamato   le volte-face , ossia la sua decisione del 1919 di ritornare a stili e tecniche ispirati al Classicismo e ai grandi maestri del passato, distaccandosi dalla precedente fase “metafisica” degli anni 1910-1918. Scrive de Chirico stesso alle fine del 1918: «Come i frutti autunnali –– siamo ormai maturi per la nuova metafisica […]. Siamo esploratori pronti per altre partenze». In linea con la posizione da lui sempre sostenuta, la mostra a Palazzo Ducale a Genova,  Giorgio de Chirico. Il volto della Metafisica,  curata da Victoria Noel-Johnson, evidenzia non un distacco, ma un’evoluzione sempre più sofisticata della sua arte, per cui si dovrebbe parlare di  metafisica continua , come vuole lo studioso Maurizio Calvesi: l’intero  corpus  dechirichiano, nonostante le variazioni di stile, tecnica, soggetto, composizione e tonalità di colore, è da consid...

Dal diario di un filosofo

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Riuscite a immaginare cosa vuol dire nascere in un paese che si chiama ABRAMI? Sì: Abrami, come il plurale di Abramo, quello che è partito da Ur dei Caldei per dare origine alla stirpe di Israele e al mito della Terra Promessa… Un Abramo non bastava certo, per il mio paese: per questo hanno fatto il plurale. Già chiamarlo paese è troppo: una manciata di case abbarbicate su uno dei primi gropponi dell’Appenino Ligure, appena a est del Colle di Cadibona, che nemmeno guardano il mare. Oh no, il mare è musica e notte, culla del vento e del cielo: il mare è troppo bello, per Abrami – qui regnano squallore, desolazione e abbandono. Anche a primavera, l’unica fioritura è quella dell’erica arborea, con il suo bianco-verde polveroso, sporco, tristissimo: non vi dico nelle altre stagioni… Tutto sommato, il periodo migliore per Abrami è l’autunno-inverno, quando la nebbia grigia che sale dal mare si unisce alle nuvole basse, altrettanto grigie, e nasconde tutto. Perché il meglio che si possa fare...

Nessuno come Mozart

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Non poteva concludersi meglio la stagione musicale monregalese 2018-2019: con un concerto dei “Giovani dell’Academia”, diretti dal Maestro Enrico Casazza, dedicato interamente al Mozart   teenager   – come ha spiritosamente fatto notare il direttore artistico Gaston Fournier Facio introducendo il concerto. Tre i brani eseguiti, tutti appartenenti al periodo salisburghese: un divertimento, un concerto solistico e una sinfonia – un campionario pressoché completo della produzione strumentale del geniale compositore austriaco. Come tutti i grandi, Mozart “ricapitola” nella sua produzione tutti i generi e gli stili della sua epoca, portandoli a una perfezione tale che dopo di lui più nessuno può continuare sulla stessa strada – e lo stesso si può dire per l’interpretazione datane da questi “Giovani”. Nel Divertimento K136 hanno suonato in modo trascinante e impeccabile sia nei vorticosi  allegri , vere danze del tempo e inni alla giovinezza, in una pirotecnica ridda di note, s...

Torino, Salone del Libro 2019

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Per la seconda volta ho assistito alla cerimonia di inaugurazione del Salone del Libro, che è quanto di meno “cerimonioso” ci possa essere. Al vertice si sono collocate la testimonianza di Halina Birenbaum, sopravvissuta ad Auschwitz, e la   lectio inauguralis   dello scrittore spagnolo Fernando Savater,   Dov’è l’identità culturale europea . La Birenbaum, oggi residente in Israele, ha parlato nella sua lingua natale, il polacco, ma le parole-chiave dell’esperienza concentrazionaria si capivano anche senza bisogno di traduzione, come se si fosse creata una “lingua universale dello sterminio”:  Vagòn, Rampa, Baraku, Krematorium … i punti cardinali a cui è per sempre inchiodata la mappa dell’orrore e della nostra vergogna di europei. Nata a Varsavia nel 1929, Halina fino a quattordici anni è cresciuta nel ghetto, “con tutta la morte attorno”, ma il peggio doveva ancora arrivare: la cattura da parte dei tedeschi, il viaggio in un vagone stipato al punto che mancava l’ar...

L'infinito tradurre. Omaggio a Giacomo Leopardi

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Quest’anno compie 200 anni uno dei testi più alti – e più famosi – della poesia italiana:   L’infinito , scritto da Giacomo Leopardi a ventun anni, nel 1819. Nel mio piccolo, per celebrarlo provo a fare come lui: comparo. Non certo  quello / infinito silenzio a questa voce , ma il testo italiano di Leopardi con le traduzioni in tre lingue europee (leggibili in calce). E ne scopro delle belle: ad esempio, che i francesi non rispettano il numero dei versi dell’originale (gli inglesi e i tedeschi sì), e che nella traduzione inglese di Townsend e in quelle tedesche (di Rilke e di Enzensberger) c’è un gravissimo travisamento del senso del testo italiano, non giustificato da nessuna “ragione poetica”… Anche se “la poesia è ciò che va perso nella traduzione” (Robert Frost), non si vuole qui dare un’ulteriore dimostrazione dell’intraducibilità di una lirica, ma evidenziare la natura intimamente asintotica del processo traduttivo, il suo infinito approssimarsi senza mai arrivare a tocc...